Deadline 31 Jul 2020

Malattia, distanziamento/confinamento, luoghi di cura [CLOSED]

Il problema del distanziamento o del confinamento sociale è antico quanto la consapevolezza della contagiosità delle malattie infettive. Quarantene e isolamenti sono la risposta più ovvia al problema del contagio e delle epidemie, e spazi e strutture per distanziare i malati, provvisorie o stabili, sono state costruite in ogni tempo. Lebbrosari e lazzaretti non sono tuttavia l’unica soluzione architettonica a questo problema

Esistono altre forme di distanziamento causate dalla malattia, forse meno eclatanti ma altrettanto degne di interesse. Ne sono un esempio gli ospedali degli incurabili, istituzioni tipiche della prima età moderna, dove vengono confinati i malati affetti da patologie esiziali, prima tra tutte la sifilide. In tempi più vicini a noi, i sanatori e gli ospedali psichiatrici offrono altri importanti spunti di studio e di riflessione. In alcuni casi, inoltre, il distanziamento imposto dalla malattia si intreccia con ulteriori forme di separazione, basate ad esempio sul sesso, sull’età, sul censo, sulla religione. Si possono citare a questo proposito le infermerie dei monasteri, gli ospedali confessionali, gli ospedali psichiatrici giudiziari.

Ancora più a monte, il confinamento sociale legato alla malattia ha a che fare con il passaggio dal luogo di cura inteso come spazio di sanità individuale, domestico, a quello immaginato e costruito come spazio collettivo, realizzato in forme sempre più specializzate e definite, fino a divenire, nel mondo contemporaneo, cittadella della salute, organismo urbano autonomo e separato rispetto alla città ordinaria.

L’impatto della malattia sull’organizzazione della città rappresenta un ulteriore tassello del quadro complessivo. In Italia la cosiddetta “legge di Napoli” del 1885, che disciplina gli strumenti per il risanamento dei centri urbani, nasce come risposta legislativa all’epidemia di colera che colpisce la città campana nel 1884. Gli interventi di ristrutturazione urbana conseguenti a questo e ad altri provvedimenti di tenore simile hanno l’effetto di introdurre una sorta di distanziamento sociale che si traduce in una minore densità abitativa e in spazi collettivi più ampi. Distanziamento che in Italia si salderà, qualche decennio più tardi, con quello invocato da Gustavo Giovannoni con la teoria del diradamento.

La call è dunque volta a stimolare contributi che indaghino il rapporto tra malattia (non necessariamente infettiva), il concetto di distanziamento o di confinamento, e i luoghi e i mezzi di cura o di prevenzione, a partire da un orizzonte tematico ampio e senza limitazioni cronologiche o geografiche, chiarendo il modo in cui l’architettura e l’uso degli spazi architettonici vengano messi al servizio di ideologie sanitarie e sociali. Sembra inoltre interessante riflettere se le crisi causate da malattie dal forte impatto sociale determinino cesure nel modo di intendere e concepire gli spazi architettonici e urbani. Infine, se esistano differenze nella risposta architettonica a queste crisi data dal mondo occidentale (o, più specificamente, europeo) e da culture di altro tipo: coloniali, islamiche, orientali, ecc.

I contributi in risposta alla call devono essere sottoposti alla rivista entro il 31 luglio 2020, usando la piattaforma appositamente predisposta sul sito web di Opus Incertum.

I contributi accettati confluiranno in un numero della rivista del 2021.

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